Ars Bellica

Battaglie In Sintesi

Assedio di Marra (Ma'arrat al-Nu'man)

novembre - 12 dicembre 1098

I comandanti cristiani

Boemondo I d'Altavilla

Principe di Marra. Nacque dalle nozze di Roberto il Guiscardo con Alberada di Buonalbergo, poco dopo il 1050, ed ebbe al battesimo il nome di Marco. Fu soprannominato Boemondo dal padre, in ricordo, pare, di un certo leggendario gigante. Anna Comnena lo descrive appunto come di statura oltre il normale, robusto e tarchiato, capigliatura bionda, occhi glauchi, accuratamente raso in volto: gli attribuisce il soprannome di Sanisco, d'ignota origine. Il padre lo tenne con sé anche dopo avere, nel 1058, divorziato da Alberada. Nulla sappiamo della giovinezza, fino al 1081, quando il padre, decisa l'invasione dell'Impero bizantino, lo inviò ad Aulona (Vallona) per occupare la baia e crearvi una base di operazione. Collaborò poi all'occupazione della regione albanese e alla presa di Durazzo e sostituì Roberto il Guiscardo nel comando della spedizione, quando la lotta fra il papa e l'imperatore costrinse il duca a rientrare in Italia. Boemondo si avanzò nell'interno della Macedonia, occupò Castoria, Gianina e Ochrida, ma entrato in Tessaglia, fu sconfitto dall'imperatore Alessio I Comneno e costretto a venire a patti. Rientrò con l'esercito a Bari e tosto attese col duca Roberto a preparare una nuova spedizione. Sbarcato a Corfù, si ammalò e ritornò in Italia e non assistette quindi alla morte del padre nel luglio del 1085. Roberto il Guiscardo, dominato dalla seconda moglie, Sikelgaita, era venuto nella decisione di diseredare Boemondo a favore di Ruggero Borsa, natogli dalla nuova unione; ma Boemondo si rifiutò di inchinarsi al fratello minore e ne nacque perciò una lunga e oscura guerra, che finì solo quando Ruggero acconsentì a cedere a Boemondo la regione pugliese e Bari (1089). Scarse notizie abbiamo sull'attività di Boemondo negli anni seguenti: nel 1089 e poi ancora nel 1092 ospitò a Bari ed a Taranto Urbano II. Nell'agosto del 1096, mentre attendeva col fratello all'assedio di Amalfi, quasi improvvisamente prese la croce e partì per le Puglie per preparare la spedizione. Quali motivi abbiano spinto Boemondo a tale decisione, ignoriamo; Anna Comnena l'accusa di avere obbedito unicamente a cupidigie di conquista. Nell'ottobre del 1096 i Normanni crociati sbarcavano a Vallona per raggiungere, lungo la via Egnazia, Tessalonica e Costantinopoli. Accompagnavano Boemondo diecimila armati fra cavalieri e fanti, al comando di Tancredi nipote di Boemondo, di Oddone detto il buon Marchese, di Riccardo del Principato e vari altri congiunti del principe. Solo nell'aprile del 1097 i Normanni giunsero a Costantinopoli; Boemondo cercò di dissipare le diffidenze dell'antico nemico, Alessio I, acconsentendo a giurargli fedeltà, come gli altri principi crociati, ma brigò per ottenere la carica di Grande domestico d'Oriente e così rappresentare nella crociata l'imperatore.

Iniziata la marcia attraverso l'Anatolia, i Normanni presero parte a diversi combattimenti, anzi sostennero nella battaglia di Dorilea il primo urto dei Turchi e diedero tempo a Goffredo di Buglione e Raimondo di Tolosa di arrivare coi rinforzi. Boemondo partecipò attivamente all'assedio di Marra, e trovando in Raimondo di Tolosa un pericoloso concorrente al possesso della città da lui agognata, con la minaccia di ritornarsene in Italia costrinse i capi della crociata a promettergli la consegna di Marra. Marra cadde nelle mani dei cristiani il 3 giugno 1098 e subito dopo fu difesa dall'offensiva del sultano Kerboga con la grande battaglia del 28 giugno: Boemondo dirigeva le schiere cristiane. Provvisoriamente i principi crociati decisero che la città venisse occupata da Normanni e Provenzali, sperando di rinviare ulteriormente il conflitto fra Boemondo e Raimondo; ma nel febbraio del 1099 Boemondo, violando i patti, ritornò ad Marra, ne espulse i Provenzali e rimase solo ed assoluto padrone della città, assumendo il titolo di principe d'Marra. I capi della crociata tacitamente riconobbero il fatto compiuto e Raimondo, isolato, dovette far pace col più abile avversario. Per assicurare il possesso d'Marra, il principe iniziò una serie di operazioni militari verso la Cilicia onde respingere i Bizantini, e verso Aleppo, per respingere i Turchi. Con l'appoggio della flotta pisana dell'arcivescovo Daiberto occupò Laodicea sul mare e poi, nell'interno, Apamea e progettò un attacco ad Aleppo. Nell'agosto del 1100 Boemondo, accorso a Malatia in aiuto di quel principe armeno Gabriel contro l'emiro di Siwas, al-Malik al-Ghazi Muhammad ibn Danishmand (il Kumushtakin delle fonti latine), venne fatto prigioniero col cugino Riccardo del Principato e fu liberato dalla prigionia a Nixandria (Neocaesarea) solo nel 1103, col pagamento di 100.000 pezzi d'oro. Ritornò ad Marra e costrinse il nipote Tancredi a restituirgli il principato che aveva governato nei due anni di lontananza del principe. Dopo avere ripreso energicamente la lotta contro Greci e Turchi, si accorse dell'impossibilità di vivere, stretto fra i due nemici e decise di riprendere i progetti del padre contro Costantinopoli. Nel 1105 rientrò in Italia, visitò il papa Pasquale II, quindi si recò in Francia a sollecitare l'appoggio di quel re. Fu accolto in Francia con le maggiori dimostrazioni di riverenza, poiché le sue imprese erano diventate leggendarie. Si recò al concilio di Poitiers con il legato pontificio per svegliare l'entusiasmo popolare per la crociata. Quindi celebrò il suo matrimonio con la figlia del re di Francia, Costanza, già divorziata da Ugo di Troyes, ed ottenne pure dal re Filippo la mano dell'altra figlia Cecilia per il nipote Tancredi. Nell'estate del 1107 rientrò nelle Puglie e preparò la spedizione contro l'Impero bizantino. Sbarcò nell'ottobre a Vallona con 30.000 uomini e cercò d'impadronirsi di Durazzo, dopo aver bruciato le navi per rendere sicure le milizie. L'imperatore Alessio I era riuscito a preparare la difesa: nella primavera del 1108 bloccò Boemondo che, esaurite le vettovaglie, dovette chieder pace. Recatosi a Deabolis presso Alessio, acconsentì a dichiararsi suo vassallo e ottenne l'investitura di Marra a gravi condizioni. Ritornato dopo la grave umiliazione a Bari, vi morì il 7 marzo 1111, mentre si preparava a partire per la Siria. Fu sepolto a S. Sabino di Canosa.


Raimondo IV

Conte di Tolosa e marchese di Provenza, detto anche Raimondo di Saint-Gilles. Fu uno dei più potenti e rappresentativi signori della Francia feudale e cristiana del sec. XI, segnalatosi nelle guerre contro gl'infedeli e specialmente nella prima crociata. Nato nel 1042, combatté, intorno al 1074, in Italia contro i Normanni a difesa del papa Gregorio VII, e poco dopo in Spagna contro i Mori. Nella contea di Tolosa successe al fratello Guglielmo IV nel 1088; ma otto anni dopo, rispondendo, primo fra i grandi baroni, all'appello lanciato a Clermont da Urbano II, prese la croce facendo voto di passare il resto della sua vita in Terra Santa. Dalla Provenza partì a capo di un esercito verso la fine di settembre 1096. Sembra che egli abbia tentato di farsi nominare capo della crociata, ma che il papa, desideroso di conservare alle conquiste un carattere religioso, abbia resistito alle sue pressioni. Certo è che egli, sia per la sua posizione, sia per le sue immense ricchezze, sia soprattutto per essere stato il primo a crociarsi aspirò sempre, nel corso dell'impresa, ad assumere una posizione egemonica, ciò che lo mise in urto con gli altri capi, con danno suo e della crociata. Per la Lombardia, l'Istria, la Dalmazia, la Macedonia giunse a Costantinopoli verso la fine di aprile 1097. Fu accolto con manifestazioni di onore dall'imperatore Alessio I ma per quanto questi insistesse, egli si rifiutò di prestargli il giuramento di fedeltà che gli prestarono gli altri capi crociati e di accettare i patti che allora si fissarono fra questi e il monarca bizantino. Passato in Asia, partecipò con i suoi Provenzali alla battaglia di Nicea e di Dorileo e all'assedio di Antiochia.

Dopo la presa di Antiochia (3 giugno 1098) scoppiò un dissidio fra Boemondo, capo dei Normanni, e Raimondo, aspirando l'uno e l'altro al possesso della città. Il dissidio ebbe una tregua per il sopraggiungere di un nuovo esercito turco guidato da Kerboga, atabek di Mossul, che alla sua volta assediò i crociati in Antiochia riducendoli a mal partito; ma appena questi fu vinto e ricacciato dalla Siria, il contrasto riarse più violento. Poiché gli altri capi della crociata in maggioranza si dichiararono favorevoli a Boemondo, il quale, in realtà, più di tutti aveva contribuito alla conquista, Raimondo si avvicinò all'imperatore Alessio concludendo con lui un accordo. Da quel momento in odio a Boemondo egli si fece il paladino dei diritti bizantini sulla Siria e sulla Palestina. In nome di questi, ma con l'evidente scopo di arrestare l'espansione normanna e di formarsi un principato proprio, a partire dal novembre, Raimondo iniziò una serie di operazioni contro le città e le fortezze situate fra Antiochia e Tripoli di Soria, occupando successivamente al-Bara, Marrath al-Nu'man, Tortosa. Queste conquiste da un lato aggravarono il suo dissidio con Boemondo, dall'altro crearono un vivo malcontento nella massa dei crociati, per i quali lo scopo dell'impresa non era la conquista della Siria ma la liberazione dei Luoghi Santi. Sotto la pressione di questo malcontento, che portò ad atti di vera ribellione nel maggio 1099 Raimondo fu costretto a interrompere l'assedio di Tripoli, che egli già aveva iniziato, e a muovere verso Gerusalemme, seguito da altri capi, come Roberto di Normandia, Roberto di Fiandra, Goffredo di Buglione, Tancredi di Puglia. In quest'ultimo tratto della spedizione, Raimondo fu il vero capo. Per Tripoli, Beirut, Sidone, Caifa, Cesarea, ar-Ramleh, Emmaus i crociati giunsero dinnanzi alla Città Santa il 7 giugno 1099. Nell'assedio Raimondo investì Gerusalemme dal lato meridionale piazzandosi sulla collina di Sion. Quando la città cadde, secondo quanto afferma lo storico dell'impresa, Raimondo d'Agiles, al conte di Tolosa fu dagli altri baroni offerta la corona di Gerusalemme, ma egli la rifiutò. Se veramente l'offerta ci fu, cosa di cui è lecito dubitare, il rifiuto non può spiegarsi se non supponendo che l'offerta non era stata né spontanea né senza condizioni, poiché è noto, da un lato, che egli aspirava ad avere un dominio sovrano in Terrasanta e dall'altro, che dal momento in cui Goffredo accettò, col titolo di difensore del Santo Sepolcro, il regno di Gerusalemme, Raimondo divenne suo nemico ostacolandolo nella sua azione e procrastinando la consegna della Torre di David, posizione importante della città, dove egli si era installato. Deluso nelle sue speranze e in urto con tutti, Raimondo, dopo la battaglia di Ascalona (12 agosto) si ritirò dai Luoghi Santi. Essendo in quel tempo Laodicea assediata da Boemondo e da navi pisane, egli raggiunse quella città e riuscì ad allontanare il suo rivale e ad occuparla; non però in proprio ma per l'imperatore. Nel giugno 1100 si recò a Costantinopoli, dove prese il comando di nuove schiere di crociati che ivi erano venuti dall'Occidente alla notizia della caduta di Gerusalemme, guidandole nell'Anatolia. Fra Amasia e Sivas i crociati assaliti dai Turchi, subirono una terribile disfatta. Fra i superstiti ci fu il conte di Tolosa, il quale poté raggiungere Bafira sul Mar Nero e da qui Bisanzio (fine del 1100). Da Bisanzio, nel gennaio del 1102, Raimondo riprese la via della Siria; ma, giunto in Antiochia, fu imprigionato da Tancredi, reggente del principato durante la cattività di Boemondo, e non fu rimesso in libertà se non quando si impegnò a non intraprendere nessuna conquista fra Antiochia e Acri. Ma non tenne fede all'impegno e nel febbraio assalì e occupò Tortosa, già conquistata nel 1099 e poi perduta. Da questo momento i suoi sforzi sono diretti a conquistare Tripoli per farne la sede di un piccolo principato nella Siria meridionale. Per prendere la città egli costruì nelle sue adiacenze una fortezza. Durante l'assedio col concorso di navi genovesi, s'impadronì di Gibelletto (l'antica Byblos) cedendone una parte ai Genovesi in ricompensa del loro aiuto (aprile 1104). Ma non venne a capo della resistenza di Tripoli, essendo morto durante l'assedio, il 28 febbraio 1105. L'opera sua fu continuata da un suo nipote Guglielmo e compiuta da suo figlio Bertrando, che nel 1109 divenne conte di Tripoli.

La genesi

Nonostante la pestilenza, e i sempre crescenti suoi sterminii, l'ambizione e la discordia aveano invasi gli animi de'capi. Il conte di Tolosa invidiando alla nuova grandezza di Boemondo, non volea darli la cittadella di cui erasi impadronito nel giorno della sopra narrata vittoria, pretestando il giuramento di sottomissione fatto dal Tarentino all' imperatore Alessio, e rimproverandoli infrazione alla sancita fede, col volersi appropriare una città conquistata dai pellegrini. Boemondo dal canto suo accusava la gelosa ambizione e l'ostinatezza di Raimondo, minacciando di usare la forza occorrendo per rivendicarsi ne' suoi diritti. Stando un giorno i principi dell'esercito assembrati nella basilica di San Pietro a deliberare degli affari correnti, furono improvvisamente le consultazioni loro per violenta contesa interrotte, perché in onta alla santità del luogo, Raimondo proruppe in parole acerbe e dispettose contro Boemondo, il quale ricorse alle sue solite arti e alle larghe promesse, per conciliarsi favorevoli gli altri capi, iterando più volte il giuramento di volerli alla impresa di Gerusalemme seguitare; ma che però non aveva in animo di attenere. A fine d'interrompere se fosse possibile i progressi del contagio e prevenire la carestia, deliberarono i principi e i baroni che si escisse di Antiochia, ogni capo con le sue genti, per correre le vicine provincie. Boemondo mosse verso la Cilicia ove occupò Tarso, Malmistra ed altre città che unì al suo principato. Raimondo andò in Siria ove occupò Albaria e passò per le armi tutta la popolazione. Guglielmo Tirense racconta che Raimondo desse in custodia la detta città a Guglielmo del Tilletto, cavaliere provenzale, con sette lancie e trenta fanti, e che costui si dimostrò tanto savio e valoroso, che accrebbe presto i suoi guerrieri fino a quaranta cavalli e ad ottanta fanti. La Siria rimasa a discrezione de' Crociati, fu ripiena de loro stendardi, e delle compagnie del loro esercito, che vagavano continuamente a caccia di prede; contendendo dipoi fra esse per le cose acquistate quando trovavansi in regioni non guaste; ma sendo ridotte spesso in estrema miseria e pericoli, quando trovavansi in paesi già predati o bene difesi.

Divulgavansi sempre nuove prove di valore e cose mirabili e romanzesche, de'cavalieri; e i signori e i baroni recando seco loro non meno gli strumenti per la caccia, che per la guerra, ora perseguitavano le belve feroci delle foreste, ora i Mussulmani chiusi nelle fortezze. Un guerriero francese detto Guicherio acquistossi fama appo i Crociati per aver ammazzato un leone. Goffredo dalla Torre divenne celebre per una azione che supera l'umana credenza. Trovò un giorno nella foresta un leone che altamente gemeva e fremeva stretto da grossissimo serpente nelle sue spire: Goffredo impietosito del re degli animali, accorre in sua difesa e con un fendente di sciabola, tronca il capo all'immane serpente. Una vecchia cronica racconta, che il leone liberato, s'affezionò al suo liberatore in modo, che, come cane, seguitavalo dipoi sempre, accompagnandolo per tutto il tempo della guerra, e quando, dopo la presa di Gerusalemme, i Crociati imbarcaronsi per ritornare in Europa, non avendo voluto ricevere nella nave i marinari la terribile belva, questa postasi a nuoto per seguitare il suo padrone si affogò in mare. Mentre s'indugiava la partenza per Gerusalemme, molti Crociati andavano visitando i loro fratelli che s'erano stabiliti nelle città conquistate; moltissimi accorrevano a Baldovino, unendosi a lui per combattere i Mussulmani di Mesopotamia, e difendere il suo dominio sempre contrastato dai nuovi sudditi, irritati dal troppo duro governo. Un cavaliere appellato Folco, che con alcuni compagni andava in traccia d'avventure sulle sponde dell'Eufrate, era stato sorpreso e ammazzato dai Turchi: la sua moglie che era con lui, fu condotta all'emiro di Azarta o Ezeza città nel principato di Aleppo; ed essendo bellissima accese d'amore uno dei primarii officiali dell'emiro, che gliene chiese in moglie, e n'ebbe concessione. L'officiale invischiato nell'amore di donna cristiana, sfuggiva le occasioni di combattere con i Crociati e nondimeno zelante per il servizio dell'emiro, fece alcune correrie sul territorio del principe di Aleppo contro il quale era in guerra il suo signore. Reduano, così chiamavasi quel principe, volle vendicarsene e, fatta gente, mosse contro Ezaza. Allora il detto officiale consigliò all'emiro di collegarsi con i Cristiani. Furono fatte le proposte della lega a Goffredo di Buglione, il quale da prima vi prestò poco orecchio; ma perseverando il mussulmano e per togliere ogni diffidenza, mandatogli in ostaggio il suo figliuolo Maometto, la lega fu conclusa. Dice uno storico latino che due colombi portarono la lettera della accettazione dell'emiro, con la novella dell'imminente soccorso de' Cristiani. Le genti del principe d'Aleppo furono rotte da Goffredo e cacciate dal territorio di Ezaza che già avevano posto a ruba. Non molto tempo dopo questa spedizione, il figliuolo dell'emiro morì in Antiochia di contagio. Goffredo, secondo l'usanza de' Mussulmani, fece avvolgere il di lui cadavere in ricco drappo di porpora e lo rimandò al padre. I deputati che accompagnavano la bara, erano incaricati di testimoniare al principe mussulmano il dolore di Goffredo, e di dirli, che al loro capo gravava tanto la morte del giovine Maometto, quanto gli sarebbe stata amara quella del suo fratello Baldovino.

Passava frattanto il tempo in queste piccole imprese senza scopo importante, e l'epoca assegnata per la partenza era omai trascorsa. La maggior parte de' capi stavasene dispersa e occupata per le vicine contrade, allegando, per differir la partenza, prima gli ardori dell'estate e ora le pioggie e i rigori dell'inverno imminente. Ma quest'ultimo pretesto sebbene più plausibile degli altri, non appagò i pellegrini, ì quali, in questa gloriosa spedizione, sendo sempre più inclinati a governarsi secondo le visioni miracolose e l'apparizione de' corpi celesti, che secondo i lumi della ragione e della esperienza, erano allora sommamente commossi ed attesi in un fenomeno non mai per loro prima veduto. Le guardie delle mura di Antiochia, videro nella notte nel firmamento e molto discosto dall'orizzonte un globo di fuoco, a formare il quale (secondo Alberto Aquense) sembrava loro che tutte le stelle si fossero riunite in uno spazio di circa tre jugeri di terra. Quelle stelle (dice Alberto) mandavano vivissimo chiarore e brillavano come i carboni ardenti di una fornace; rimanendo lunga pezza sospese sulla città; ma spezzatosi il cerchio in che si contenevano, andarono per l'aere disperse. All'apparire di tanto prodigio le guardie, mandarono alte grida e corsero a svegliare i Cristiani di Antiochia. Questi, esciti dalle case, riconobbero nel fenomeno un segno chiarissimo e indubitato della volontà divina; spiegando alcuni, per gli astri riuniti, il general concorso de'Mussulmani a Gerusalemme, ma che avevano a disperdersi all'arrivo de Crociati; altri dicevano significassero i guerrieri Cristiani in atto di assembrare le loro genti vittoriose, e spargersi dipoi sopra la terra a conquistarvi le città tolte all'imperio di Cristo; certo è però che tali apparizioni estraordinarie non aventi alcuna corrispondenza con la vanità delle umane irrequietudini, possono significare tutto ciò che piace alle deliranti fantasie, appartenendo alla allegorica follia che ha il privilegio di riordinare l'universo al beneficio de suoi sogni; e però molti Crociati che presso a poco erano di questa sentenza, poco o niun conforto prendevano da tali consolanti allusioni. Nè in quella città, ove da più mesi vivevasi in continue insidie di morte e in continui funerali, e dove la memoria delle cose sofferte non disgradava forse il presentimento de futuri mali, poca cagione eravi in vero di bene sperare; sicché tutti coloro che languivano e che persuadevansi non dover vedere Gerusalemme, non videro nel detto fenomeno, sennonché un simbolo spaventevole della moltitudine de pellegrini che ad ogni giorno decresceva e che fra poco si sana spenta come la nube luminosa veduta nel cielo. E nondimeno (dice con la sua narrativa ingenuità Alberto Aquense) le cose presero migliore avviamento che non si aspettava; poiché poco dopo i principi ritornati in Antiochia, poserei in campagna, e la vittoria aperse loro le porte di alcune città dell'alta Siria.

L'assedio

La più importante di queste spedizioni fu l'assedio e la presa di Marra, situata fra Amata e Aleppo, ove giunse primo Raimondo e dipoi i conti di Normandia e di Fiandra. Gli abitatori, ricordandosi lo sterminio degli Antiocheni, s'erano tutti posti alla difesa sopra le mura; e i Crociati stimolava la speranza del grosso bottino: ogni giorno, tentavano la scalata, ma fitta grandine di strali, di pietre e certe annaffiature di bitume acceso, versate generosamente sulle loro teste ne temperavano i guerrieri fervori. Guglielmo Tirense aggiunge che si gittasse eziandio giù dalle torri calce viva e alveari pieni di pecchie, bellici tormenti di curiosissimo trovato. Già da alcune settimane succedevano mischie sanguinose; finalmente lo stendardo de Cristiani fu piantato sulle mura; e perchè i Mussulmani s' erano difesi ostinatamente e durante l'assedio avevano fatte più dimostrazioni di spregio contro la religione cristiana, sendo i Crociati forte indignati contro il popolo, non perdonarono la vita ad alcuno, e tutti quelli che s'erano nelle moschee ricoverati e quelli che s'erano nascosti ne'sotterranei furono crudelmente trucidati. Rimase la città in tutto priva de'suoi naturali abitatori e gli occupatori, dentro da quella privi di viveri; e quasiché il cielo volesse la loro ferità castigare, cercando con che satisfare alla loro bramosa fame, non trovavano altro che i cadaveri degli uccisi, dei quali (e di ciò fanno le gran maraviglie i Cronisti) non avendo speranza di altro pasto, si cibarono.

Meritano essere registrate alcune riflessioni de' Cronisti. Alberto Aquense non sa persuadersi come i Cristiani potessero divorare cadaveri di Mussulmani; ma poi reputa molto più mostruoso che si mangiassero carogne di cani: poiché forse i cani erano ancor più lontani dalla grazia di Dio de Mussulmani medesimi; al che non ripugna la ragione. Baudri arcivescovo di Dolio, escusa i Crociati, dicendo che s'erano procurata quella gran carestia per amore di Gesù Cristo, perché ammazzare gl'Infedeli è opera espiatoria e prova non impugnabile di religiosa carità, e poi conchiude la sua perorazione con queste parole: fieramente i soldati cristiani combattevano contro gl'Infedeli, divorandoseli a quel modo. In tra l'orrore di quelle esecrabili mense e di quelle carneficine, i principi contendevano aspramente fra loro per il possesso della città; nella quale udivansi misti in ispaventevole armonia, gli urli della fame, il trambusto de tumulti, le minacce e le ingiurie de contendenti. Boemondo che era intervenuto all'assedio voleva per sè un quartiere di Marrac; Raimondo la voleva tutta sua. Tennesi un'assemblea de principi e de baroni a Rugia per ristabilire la pace e accomodare le dissenzioni, ma fu indarno, e qui il buon Gesuita Maimburgo dice: ma Dio che era il vero capo della grande impresa riparo', con lo zelo de pusilli, quello che le disordinate passioni dei grandi e de savi del mondo aveva distrutto.

Le conseguenze

Si sdegnarono finalmente i soldati di spargere il loro sangue per la miseria di quelle contenzioni; sangue per essi alla santa causa consecrato. E che! (dicevano i pellegrini) sempre dissenzioni! dissenzioni per Antiochia, dissenzioni per Marrac! Mentre che così si lagnavano sopraggiunse la notizia che gli Egizi avevano occupata Gerusalemme; i quali profittando della sconfitta de' Turchi e degli indugi del Cristiano esercito erano penetrati in Palestina. Crebbe pertanto il malo umore de'soldati, che accusavano senza alcun rispetto Raimondo e gli altri capi d'aver tradita la causa di Dio, e cominciarono a manifestare il disegno di volersi eleggere altri capi, la cui ambizione fosse soltanto nell'adempire ai fatti sacramenti e nel condurre l'esercito in Terra Santa. Il clero minacciò a Raimondo la collera del cielo; minacciaronlo anche di abbandonarlo i suoi propri soldati; e per ultimo tutti i Crociati che trovavansi a Marra, risolsero di demolire le fortificazioni e le torri della città. Corservi tutti popolarmente, non astenendosene gli infermi, che vi si trascinavano appoggiandosi a bastoni e alle cruccie, e rotto alcun pezzo di muro; davanti la pianta fuor delle mura: di questi rottami, secondo i Crociati, alcuni erano di tal volume, che tre paia di bovi non gli arebbero potuti smuovere. Nel medesimo tempo Tancredi s'impadronì della cittadella d'Antiochia, da dove tolta la bandiera del conte di San Gille, inalberò quella di Boemondo. Raimondo, per riconciliarsi i capi a' suoi disegni, pose in opera la seduzione de'suoi tesori, distribuendo anco al popolo le spoglie delle vicine città, non risparmiò nemmeno preghiere e promesse, ma tutto fu invano. Conoscendo per ultimo che s'affaticava senza frutto, come savio e prudente ch'egli era, finse cedere per ispirazione divina, quello che per umano artificio non potea conseguire. E così non potendola tener esso, perché non l'avesse altri, incendiò la città di Marra, e allo chiarore delle fiamme, con i piedi ignudi e versando lacrime di contrizione, in aspetto di penitente, ne uscì fuori, accompagnandolo il clero che cantava i salmi penitenziali. Abiurò dipoi la sua ambizione, e rinnovò il sacramento fatto tante volte e tante volte dimenticato, di liberare il Sepolcro di Cristo.

Arduo troppo e impossibile per le corte menti umane è voler penetrare nel secreto delle intelligenze celesti, appo le quali (secondo dice il savio ) spesse fiate è giustizia quello che in terra è ingiustizia. Ma deposto l'orgoglio di retta argomentazione; e sollevando i nostri pensieri ai cori degli angioli e de' Santi, che concetto dovremo farci del giudicio loro, nel mirare quei buoni soldati che portando sul petto la Croce di Cristo, espugnavano le città, ne trucidavano tutti gli abitatori, si mangiavano i cadaveri degli uccisi, contendevano dipoi fra loro per le spoglie, e quando non trovavano forma di accomodamento davano alle fiamme i luoghi presi e ne escivano in processione, cantando le glorie del Signore in abito e contegno di penitenti? E', mi sembra, se non è impietà supporre che in cielo possa aver luogo il sorriso de'mortali, che quei cori celesti dovessero ridere non poco delle umane follie; ma l'uomo ha tanta elasticità di giudizio che può temperare ogni sua passione e pazzia a qualunque maniera di ragione e a qualunque legge, perché le cose hanno molti aspetti, ed egli non ne vede che uno a un tempo, sicché gli può tutti successivamente usare al suo bisogno, senza che si paia avervi negli argomenti suoi contradizione. Fu finalmente dato il segno della partenza all'esercito. Mossesi il conte di Tolosa lo seguitarono Tancredi e il duca di Normandia; da ogni parte accorrevano Cristiani e Mussulmani incontro a'Crociati, quelli per implorare soccorsi, questi misericordia; tutti portavano viveri e tributi; e furono veduti ritornare, con universale contentezza, molti prigioni creduti morti e posti ora in libertà da'Mussulmani per non concitarsi contro lo sdegno de'vincitori.



Tratto da:
"Storia delle crociate" scritta da Giuseppe Francesco Michaud, Volume 1, Firenze 1842